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Angelo Addessi

La vita e le emozioni rappresentate attraverso la rielaborazione digitale della fotografia

Angelo Addessi, classe 1957, nato a Formia e vive a Roma. Educato da due meravigliosi genitori, segnati nella vita dai tristissimi eventi della Seconda Guerra Mondiale, ha creduto sin da piccolo nei veri valori e profondi ideali della vita. Valori e ideali che lo hanno condotto quasi per mano ad arruolarsi minorenne nell’Arma dei Carabinieri.

Ha sempre creduto fermamente che l’Arma sarebbe stata la sua futura famiglia e così é stato. Contro il volere della madre, che lo lascia libero di decidere sulla propria vita, supera la selezione e si arruola nell’Arma dei Carabinieri fino a raggiungere nei decenni di carriera il grado apicale di Maresciallo Aiutante sostituto Ufficiale di Pubblica Sicurezza.

Ancora oggi ricorda con devozione gli anni di servizio a favore dell’Italia e della Collettività. Ciò che amava del suo lavoro era stare a contatto con le persone e sentirsi saldo riferimento per la vita sociale di un centro urbano. La sua carriera e le benemerenze acquisite negli anni, sono state premiate dal Presidente della Repubblica Italiana nel 1998 che gli conferì l’onorificenza di “Cavaliere della Repubblica Italiana”. Allo stesso modo ora ritrova gli stessi valori di servizio e condivisione nell’espressione artistica. I suoi lavori racchiudono le sfere più intime del suo carattere.

Angelo Addessi continua ora una seconda vita come artista. “Ho imparato che la mia vita è un’eterna lezione. Non ne ho mai abbastanza”, sono state le prime parole che mi ha saputo rivolgere non appena seduti, entrambi pronti per iniziare l’intervista.

Riconosciuto come artista contemporaneo a livello nazionale ed internazionale, opera una rielaborazione di immagini fotografiche originali attraverso software digitali di immediata disponibilità su device mobili e computer più comuni. Si concentra sulla rielaborazione di soggetti che appartengono alla sua quotidianità. 

Sono tangibili i richiami alla Pop Art per l’utilizzo della tecnica di stampa su tela. Ma i colori vividi e decisi richiamano l’impatto delle riproduzioni vignettistiche rielaborate ad olio su tela da Roy Lichtenstein, ingrandite, sgranate, estrapolate dal contesto fumettistico ed autosufficienti in solitaria.

Fin dai primi anni ‘60, due artisti iconici, Andy Warhol e Lichtenstein, fanno propri i metodi meccanici di stampa con il tentativo di democratizzare l’arte e farla scendere dal piedistallo élitario attraverso una riproduzione in serie di opere che immortalano soggetti “popular”, attrattori del vasto pubblico perché icone di un immaginario quotidiano, derivanti dall’esposizione frequente e ripetuta alla comunicazione pubblicitaria. L’opera d’arte perde la sua esclusività e ne acquista il pragmatismo di una società consumistica orientata alla produttività e al mercato.1

Angelo Addessi mi ha spiegato che, ispirandosi a quei maestri emblematici, utilizza la tecnica della stampa fotografica su tela ma con un percorso inverso a quello operato dagli artisti internazionali sopra citati. Egli riscopre l’emisfero emotivo attraverso la rielaborazione digitale del proprio archivio fotografico e poi la impressiona su tela. L’intento è quello di rendere la stampa, non più una riproduzione meccanica ed industriale ma un mezzo in grado di impressionare su tela l’emotività. Egli utilizza inchiostri stampati con una resa in alta definizione per far emergere i dettagli e la brillantezza dei colori. 

Attraverso la rielaborazione digitale di inquadrature quotidiane ne ritrova profili stilizzati dal colore saturo e contrastato. L’essenza delle inquadrature si rintraccia attraverso silhouettes dai colori vividi. Gli scatti perdono il proprio significato originale, trasformandosi in momenti espressivi di emotività e sensazioni personali. 

La stampa serigrafica si fa mezzo per trasportare l’emotività su tela abbandonando la sua caratteristica meccanica. La tela si fa istantanea che immortala le sensazioni ed i movimenti intimi dell’artista. 

Angelo modifica digitalmente un archivio fotografico quotidiano, pixel dopo pixel. I mezzi con i quali rielabora gli scatti sono a disposizione su qualsiasi shop virtuale di applicazioni. Dunque un mezzo a disposizione di tutti che egli ha fatto proprio per creare. Attraverso di essi esprime la propria personalità tenace dai confini netti. Nonostante il carattere saldo e sicuro, ho avuto l’onore di conoscere, attraverso questa intervista, un artista aperto al dialogo, un uomo curioso che mai smetterà di imparare e conoscere. 

Ha esposto le sue opere durante mostre di livello nazionale ed internazionale, è membro attivo del gruppo di artisti autodefinitosi MOSKA. Collabora con lassociazione Culturale non profit Art Experience di Salerno e fa parte degli artisti che hanno partecipato agli eventi fieristici organizzati da NEF, Nord Est Fair. 

Ci siamo incontrati e abbiamo fatto due chiacchiere insieme all’amica e artista contemporanea Nadia Turella. Ad ora, anche lei Spacc’Artista a tutti gli effetti

1Arte del Novecento 1945-2001“, Miriam Mirolla e Guido Zucconi, Mondadori Università, pag. 70-73 
Quando hai capito le tue necessità di espressione attraverso la fotografia digitale e la stampa ad alta risoluzione su cotone vegetale? 

Partendo dal presupposto che non sono fotografo, dico sempre che la mia passione è immortalare istanti per trasmettere emozioni e condividerle con chi le percepisce attraverso i miei lavori. Credo nel potere di fermare il tempo, per me la fotografia digitale è un mezzo per osservare il mondo e rielaborare le immagini per comunicare una sfera emotiva impercettibile ad occhio nudo. Credo nelle sintonie emotive, questi lavori mi permettono di instaurare una relazione con chi osserva attraverso un dialogo muto, fatto di emozioni e colori pieni, vibranti. 

Perché scegli il cotone vegetale come supporto per le tue stampe su tela? 

Il cotone è un materiale molto resistente che non si altera facilmente nel tempo, l’inchiostro che utilizzo per la stampa si addentra in maniera profonda tra il reticolo di fili. Utilizzo inchiostri naturali per le stampe su tela, che rimangono vividi e vibranti. Non avendo elementi sintetici nella composizione rimangono delicati sul tessuto, senza andare a minare la brillantezza del colore con una resa ad alta risoluzione. 

La qualità dei materiali è il mio primo obiettivo al fine di realizzare dei lavori durevoli nel tempo, come sono permanenti le foto digitali archiviate su un qualsiasi hard disk. I pixel rimarranno per sempre incastonati in quel file digitale, e potranno essere visionati in qualsiasi momento, almeno fin quando non sarà obsoleto il formato digitale che permette di salvare quei dati digitali. Ma credo che, anche quando il file risulterà illeggibile per un determinato computer, avremo sempre il modo di estrarlo e trasformarlo in un formato compatibile alternativo. 

Dunque, essendo i dati digitali costanti nel tempo, avevo l’intenzione di dare alle mie opere digitali un supporto fisico che potesse assomigliare ai supporti digitali nella resistenza durevolezza ed efficienza nel futuro. 

Ci vuoi parlare di un’opera in particolare che ti rappresenta e come l’hai realizzata? 

In ogni lavoro catturo attimi della mia vita con semplici scatti fatti con il cellulare. Come un pittore, elaboro l’immagine ma non utilizzo colori a tempera o ad olio. Li sostituisco con effetti di saturazione, contrasto, luminosità e valori tonali, bilanciamento dei colori per modificare i pixel. Il risultato sono quadri quotidiani a lunga durata. Perpetuo attraverso il digitale istanti che emanano vibrazioni non altrimenti percepibili. 

Un lavoro in particolare cattura un istante di vita passata. In gioventù, prima di arruolarmi, facevo il meccanico. Mi entusiasma tuttora capire il funzionamento dei motori. Mi piace il loro rumore e come tutti i pezzi si incastrano per formare un sistema che compie lavoro. 

L’anno scorso ho lavorato ad una fotografia, associata a disegno grafico in digitale, dal titolo “Introspezione” . Ritrae, in un’immagine vivida e vibrante, quel periodo con le mani sporche di olio e la voglia di comprendere ogni meccanismo. Ho fotografato un motore di un veicolo e poi ci ho lavorato sopra digitalmente modificando ogni pixel. 

In fondo, nonostante i miei 65 anni,  sono ancora un apprendista della vita, volo con la mente. Dalla meccanica adolescenziale ai sogni da adulto. Godo dei colori dettati dalla saggezza. Questo è il mio passato, ma anche il presente di chi ricorda. 

Non amo parlare troppo dei miei lavori perché preferisco che ne parli chi li osserva. Per questo ti ho portato alcune critiche che amici e colleghi hanno scritto su questo lavoro, almeno puoi avere uno sguardo più completo. 

Ultima domanda: Mi hai detto che fai parte di un gruppo di artisti che si autodefinisce MOSKA. Perché avete scelto questo nome? 

Beh, tu la conosci l’aneddoto su Giotto e Cimabue? Nessuno sa se sia realmente accaduto, le fonti sono incerte anche in merito al suo apprendistato nella bottega di Cimabue. Ma ne scrive il Vasari nella celebre opera Le Viteed io mi appello a lui come testimone. 

Un aneddoto a cui vogliamo credere perché racconta una forma autoironica di presentazione di sé e degli altri. Noi, artisti del gruppo MOSKA, vogliamo fare i seri senza prenderci troppo sul serio. 

Per questo motivo Giotto ci ha ispirato per la scelta del nome del gruppo. L’aneddoto narra che l’artista, eccellente nella sua tecnica, disegnò una mosca talmente tanto realistica sul dipinto di Cimabue che il maestro cercò di mandarla via scuotendo la tela. Quando si accorse che era  pittura, il maestro capì che l’allievo l’aveva superato e sarebbe stato in grado di camminare con le sue gambe. 

Vi lasciamo al link di seguito un articolo molto interessante sulla mosca nella storia dell’arte, scritto da Silvia Tomasi per CFArtsDove si posa la mosca, che il diavolo dipinge | Conceptual Fine Arts

Referenze e Link

Critiche artistiche scritte da parte di colleghi ed amici ad Angelo Addessi.

Arte del Novecento 1945-2001, Mirolla M. & Zucconi G. (2002). Mondadori Università.

L’Associazione Art Experience, (n.d.). Art Experience. Retrieved March 20, 2022.

Artisti CATS ArtePadova, (n.d.). Retrieved March 20, 2022.

Giotto :: arte italiana :: Galleria degli Uffizi, (n.d.). Uffizi Firenze. Retrieved March 20, 2022.

Dove si posa la mosca, che il diavolo dipinge, Tomasi, S. (2021, March 8). Conceptual Fine Arts. Retrieved March 20, 2022.

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Roberta Sciuto

Ha il mare dentro, negli occhi il fuoco.
Nella testa tante storie da raccontare. 

Nata a Santa Marinella, appassionata lettrice e giovane scrittrice emergente, Roberta Sciuto, classe 1997, ha appena pubblicato il suo ultimo romanzo, “Anime Comunicanti, con Porto Seguro Editore.

L’ultima opera letteraria di Roberta, “Anime Comunicanti” è avvincente e sensuale. Il romanzo è ribelle come lei. Delinea i confini di un cerchio fiabesco che non vuole essere circonferenza.
Si tratta di una storia cruda, appassionante, sensuale e credibile come lo sono i suoi personaggi. Tre fratelli maledetti che non scelgono di essere famiglia e lottano anche contro se stessi per liberarsi.

Un libro che non sarà facile dimenticare perché tocca sfere emotive intense. Di seguito il link se siete curiosi di scoprire di più:
Anime Comunicanti – Roberta Sciuto – Libro – Porto Seguro Editore | IBS 

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con lei. Ci siamo sedute per tre ore in un bar nel quartiere romano di Monti ed è uscito qualcosa di bello. Di seguito potete trovare tutto ciò che ci siamo dette. 

Anime Comunicanti” ed i suoi personaggi. Ti rivedi nelle tre personalità divergenti o un personaggio ti rappresenta in particolare?

Allora, in generale, credo che sia importantissimo partire dalla propria esperienza per scrivere. E non perché non ci debba essere creatività o finzione. La scrittura è finzione, è disegnare immagini con le parole. Lo scrittore crea un universo di interazioni e di energie che si discosta dal tempo del mondo reale. Insomma, ci sono dei ritmi in un romanzo che non assomigliano alla realtà, ma ci si riflettono con intensità. Lo stesso accade nei film ed in altre opere narrative, cioè lavori che hanno il compito di raccontare storie. 

Tuttavia, mettere dei pezzi di vita nelle mie storie, sensazioni, suggestioni, esperienze personali, aiuta a delineare confini nella narrazione. Le bussole di esperienza diretta mi aiutano a scrivere con intensità e credibilità. Scrivere delle cose che conosci da una vita vuol dire che sai bene di cosa stai parlando, significa essere credibili agli occhi del lettore.

Dunque, sì, confermo, ogni personaggio ha un qualcosa di me, ha un guizzo di me. In “Anime Comunicanti” ad esempio Sael ha il mare. Come me è nata con l’acqua salata tra i capelli. Quindi ciò che mi lega a questo personaggio sono le immagini evocate dal mare. Quelle le ho viste tantissime volte nella mia vita e le ho rielaborate in modo tale che le stessero bene addosso.

Poi, con Sael ho dato vita ad un carattere molto diverso dal mio perché lei è un personaggio emotivamente sterile. Il suo nome in Arabo significa quel confine tra deserto e steppa”. 
Il dono soprannaturale di Sael, dalla pelle olivastra come alghe essiccate al sole, è gestire il calore e la salinità degli alimenti. Inoltre, colleziona ossi di seppia

Dunque in quest’ultimo romanzo vi sono molti “easter eggs” narrativi, dove per ogni personaggio ho scelto scientificamente dei nomi che hanno un proprio significato in altre lingue, un significato che li rappresenta fisicamente e caratterialmente. 

La scelta dei nomi è peraltro funzionale allo stile narrativo del romanzo, essendo esso evocativo di atmosfere fiabesche e dei suoi ritmi ancestrali. Ritroviamo le metafore ed i simbolismi propri della fiaba, esso ha un ritmo simmetrico e circolare come le favole, ma si conclude senza dover per forza unire i capi della circonferenza. 

I protagonisti sono tre fratelli che non si amano, perché non si sono scelti. La famiglia non si sceglie d’altronde. Si odiano e sono costretti a convivere negli stessi corpi a causa di una maledizione. 
Ma da dove proviene questa maledizione? 

Al centro del romanzo sono racchiuse dinamiche familiari sbagliate che prendono vita in una natura ancestrale, senza tempo, dove i suoi elementi si integrano e si sfidano con gli umani. Genitori che non sanno fare gli adulti, inermi di fronte a bambini potenti legati da una maledizione che non conosce tempo.  L’atmosfera è densa di mistero e magia. La natura che ritraggo è una madre cruda con i propri figli, un non-luogo senza coordinate geografiche, dove si deve costantemente combattere per sopravvivere. Una realtà violenta, come in una fiaba dalle tinte fosche

I tre fratelli, Erat, Sael e Reo,  fin dalla nascita sono attirati dal magnetismo della natura, si addentrano quindi nel bosco, ognuno cercando la propria strada. Ciascuno, attirato dalle fronde di un possente albero che vive di vita propria, si taglia con le schegge della corteccia. Ed in quell’istante la maledizione li tiene uniti per sempre. 

Un legame forte di sangue, ma anche di corpo, mente e spirito. I tre fratelli maledetti, sono ora costretti a vivere uno il corpo dell’altro. L’unica libertà che hanno è poter scegliere il corpo attraverso cui fare esperienza di quel mondo lontano, custodito tra le onde del mare e le cime delle montagne. 

Erat ad esempio, la sorella combattente, spietata, riconosce il corpo del fratello Reo come quello più adatto per sé. Lei si sente a suo agio in un corpo maschile, mentre Reo e Sael odiano fare esperienza del corpo della sorella perché la sua energia, cupa e temibile. rimane palpabile anche nella sua assenza. 

La maledizione dunque non ha una genesi, esiste e permane sulle anime dei tre fratelli. Un’unione di corpo e mente che allude ad un simbolismo prossimo al dialogo contemporaneo, ovvero la fluidità di genere ed il sentirsi meglio in un corpo che non ti appartiene dalla nascita.

In alcuni frammenti mi ricorda Baricco. Probabilmente per il fatto che ci ritroviamo immersi in un universo naturale senza tempo a picco sul mare, dove si incrociano destini intrecciati e “comunicanti”.

Ho letto tutto di Baricco, ma ti assicuro che è molto più violento. Lasciando stare Baricco, che mai mi stancherò di leggere, ho cercato di creare una sorta di cammeo per ogni capitolo. Ogni quadro è racchiuso in una cornice senza tempo. Le immagini sono fondamentali per me ed è per questo che il romanzo mi assomiglia. 

“Anime Comunicanti“ vuol essere un romanzo grafico, vuole evocare immaginari, vuole lasciare libero il lettore di vedere universi lontani, ma prossimi e credibili. È ambientato in un non-luogo, tuttavia i sentimenti dei personaggi sono umani e contrastanti. Per questo attraverso di essi ritrovo la credibilità a cui aspiro.

Anche nelle azioni dei personaggi ritroviamo immagini evocative delle proprie personalità, tutte e tre originali e divergenti: Sael ad esempio, è arida ed emotivamente sterile, raccoglie e colleziona ossi di seppia in riva al mare. Credo che in una narrazione efficace tutto debba essere utile. 

Sì, credo che la scrittura creativa sia anche ritagliare pezzi di vita donando loro ritmo, perché essa è azione. Ma anche le pause sono utili per creare dinamismo.  

Nel movimento narrativo e le sue strutture ritmiche, organiche, anche il realismo viene esagerato o ridotto a seconda delle necessità di scrittura. Altrimenti sarebbe una lista della spesa, un elenco telefonico monotono e anacronistico. 

Hai già pubblicato due romanzi. Il primo un’auto pubblicazione dal titolo “Il Ciclo delle Persone che sentono” (2018), mentre il secondo, edito dalla casa editrice Land Editore dal titolo “Luce, Oltre i Confini del Pensiero” (2021). 
Per la tue esperienze, saprai rispondere a questa domanda: Come scrivi e perché ti sei messa in testa di scrivere romanzi? 

Mi sembra sempre necessario scrivere nell’ottica di chi legge, dunque il mio compito è guidare l’attenzione del lettore su determinati elementi, lasciando dietro di me il superfluo. Per guidare è fondamentale avere le idee chiare, il rumore di elementi superflui non aiuta, tutto deve avere uno scopo nella narrazione, altrimenti non ha senso aggiungere pezzi. Un po ‘ come quando metti la sabbia in un retino, fluisce quello che passa attraverso, il resto rimane tra le maglie. Se ciò che rimane viene messo a forza, credo che risulti solo ed esclusivamente esercizio di stile. E l’esercizio di stile il lettore lo capisce, dunque sottovalutare chi legge è sempre una cazzata perché capisce sempre quando quell’elemento narrativo è sbagliato e poco utile. Dunque, mai sottovalutare chi sta osservando. 

Perché scrivo romanzi? Perché credo che tutti abbiamo bisogno di rifugiarci in mondi diversi a volte, ritrovandoci un riflesso di quello che conosciamo già.

Le tue ispirazioni, i tuoi maestri. 

Ho imparato da maestri iconici che è bene scrivere in modo implicito. 

A me piacciono le storie con pochi dialoghi. Ad esempio mi ispira il cinema orientale. Perché il modo di vivere i sentimenti è latente, celato tra le righe.

Ad esempio nel film del regista giapponese Wong Kar Wai dal titolo “In The Mood For Love” (2000)  ci sono pochissimi dialoghi, ma racconta tutto. Tutto ciò che c’è da dire su quel rapporto, su quella relazione, viene detto in maniera implicita attraverso lo sguardo. Non ci sono scene di sesso. Quel film è esattamente ciò a cui aspiro. 

Allo stesso modo mi ispira Ferro 3 (2004) di Kim Ki Duk, regista coreano che è venuto a mancare l’anno scorso. Regista e sceneggiatore meraviglioso. Un film fatto di silenzi, eccetto qualche parola che il personaggio è costretto a far uscire. Le azioni sono tutto. I gesti sono più carichi di senso rispetto alle parole, anche nella vita credo. 

I miei crucci personali sono i film romantici americani. Mi fanno cagare, gusto personale. Parlano troppo, e fanno poco di concreto. In amore, nella realtà come nella finzione, è necessario dimostrare, è necessario far vedere come ami. Perché le parole non bastano.

Credo che le parole svuotino l’intensità del momento e la sua tensione. I dialoghi fanno perdere il mistero che è necessario, nella vita come nella narrazione. 

Quando è che siamo veramente in panico? Quando le persone a cui teniamo non ci scrivono. Nel silenzio ci creiamo storie e film mentali. Nell’assenza della persona amata ne sentiamo il bisogno. Ci chiediamo il perché delle cose e creiamo altre narrazioni. Ecco lo stesso deve fare il cinema. Lo stesso deve fare un romanzo. Devono parlare poco e se parlano, lo devono fare tra le righe. 

Ma non siamo qui per spiegare come scrivere un romanzo, anzi ti dico che a breve inizierò a registrare dei contenuti multimediali  per la piattaforma Kit for You, un video corso su come sviluppare l’idea per creare una storia che sia inclusiva ed aperta al dibattito moderno. L’obiettivo sarà quello di spiegare come creare dei personaggi  “flesh and bones” in carne ed ossa, ovvero credibili.

Come definiresti i romanzi che si trovano nella tua libreria? 

Come dicevo prima mi piacciono le azioni sospese, mi piacciono le tensioni narrative. Dunque, i romanzi che preferisco sono quelli che lasciano con il fiato sospeso, perché sono efficaci nel guidare il lettore oltre l’ultima pagina letta. 

Mi piace leggere romanzi con uno stile molto definito e storie che mi fanno galleggiare in un contesto, in un’atmosfera, all’interno di un immaginario in cui mi posso specchiare. E così si crea uno scambio, un dialogo implicito tra chi scrive e chi legge. La me lettrice non ha bisogno di sentirsi raccontare tutto, parola per parola, in modo pedissequo. Leggo per immaginare e sognare. E scrivo ciò che mi piacerebbe leggere. 

Credo che L’Amica Geniale” (2011, Editore E/O) sia la saga una delle saghe più belle. Credo che Elena Ferrante sia una penna meravigliosa, intensa e cruda, con una grande padronanza di scrittura e del mistero narrativo. Amo il mistero nelle storie, come i segreti che la vita custodisce per il nostro futuro.

Il mondo editoriale ed i social: come la vedi?

Credo che risulti più semplice pubblicare un romanzo se si riesce a creare un personaggio sui social, che sia simpatico, divertente, con il giusto carisma. Perché a monte hai già persone potenzialmente interessate a comprarlo. 

Come autrice emergente e ragazza comune sto capendo il peso dei social e mi impegno molto anche per curare quell’aspetto. Ma non è semplice. Anzi è molto difficile e mi sono resa conto che il mio ruolo è anche quello di incuriosire ed invogliare a leggere. Ma mi ci impegno, perché anche quei numeri virtuali sembrano essere cruciali nel mondo editoriale di oggi.

Magari, credo che sia più semplice il percorso inverso a quello che ho scelto di fare io. Nel senso che è più semplice pubblicare un libro che vende bene con una casa editrice XY, se a monte ti sei già creato/a un personaggio pubblico sui social. E questo non vuole essere frutto di polemica, anzi, credo che sia semplicemente un dato di fatto comprovato da dati empirici nel mercato editoriale attuale.

Ultima Domanda. Il tuo consiglio di lettura. 

La "Trilogia della città di K.", stupendo perché ti lascia con il fiato sospeso

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Nadia Turella

Il potere dell’Arte per comunicare e sensibilizzare

Nadia Turella è portavoce di un tema tanto di un tema tanto delicato quanto terribilmente attuale: il femminicidio.

In tutte le sue opere Nadia affronta la violenza fisica, emotiva e psicologica. Attraverso la professione di avvocato civilista spesso si è trovata a gestire situazioni delicatissime partecipando, con grande rispetto e sensibilità, al dolore di tante donne, vittime abusate di ogni età e ceto sociale, che spontaneamente le confidavano una realtà terribile. In diversi casi, una realtà taciuta per vergogna o per paura.

Osservando le sue installazioni emerge una profonda sofferenza, ma al tempo stesso la volontà di denunciare il crimine.

Perché credi che l’Arte possa essere il mezzo di sensibilizzazione? 

Ritengo che l’arte sia decisamente un ‘ponte’ che attraverso le sue diverse espressioni artistiche (danza, musica, pittura, scultura, fotografia, recitazione, lettura, poesia, moda, cinema, artigianato, sartoria, pelletteria, bigiotteria, gioielleria, fumettistica etc..) riesce a superare confini di lingua, religione e cultura. 

L’obiettivo primario è il - non dimenticare -, ricordando i volti, i nomi, i sogni e le paure, delle donne uccise, di quelle miracolosamente rimaste in vita, ma offese nel corpo e nella mente e di quelle dichiarate scomparse.

Attraverso l’arte interagisco con molti giovani, ragazzi e ragazze delle scuole medie e superiori. Nelle micro società, rappresentate dalla famiglia e dalla scuola, l’individuo si forma ed inizia a relazionarsi con il prossimo. Pertanto, ritengo che sia di grande importanza l’insegnamento già in tenera età – come all’asilo – del valore della vita, che non deve essere mai mortificata, così come l’insegnamento delle regole per un corretto comportamento nel rapporto con il mondo femminile. 

Nadia Turella come artista: Quando e come ha avuto la sua genesi. 

Nel mese di novembre del 2016 fui contattata da Isabella Freccia, scrittrice calabrese che personalmente non conoscevo. Lei conosceva i miei lavori artistici sul tema della donna, sia come esaltazione della sua bellezza in quanto tale che come vittima di violenza domestica. La presentazione del suo quinto libro dal titolo ‘Quell’amore che profumava di giuggiole’ si sarebbe celebrata il pomeriggio del 3 dicembre 2016 presso la storica libreria ‘Altroquando’ nel cuore di Roma, vicino Piazza Navona. 

Durante la serata presentai due mie installazioni dal titolo Bella da morire e L’ultimo battito di Ali. Spiegai il loro significato ed era in chiara contrapposizione con il contenuto del suo lavoro che, al contrario, era un inno all’amore. 

Tutto iniziò quindi per caso. Solo successivamente ho iniziato a svolgere uno studio di ricerca e approfondimento sul tema del femminicidio per il quale ancora oggi vengo invitata, come relatrice, nelle scuole medie superiori - per il momento - della provincia di Latina e in particolare nel paese di Sabaudia, Terracina, Fondi - al fine di sensibilizzare un giovane pubblico che va dai 14 ai 18/20 anni: studenti che hanno l’età non solo per essere orfani di femminicidio, ma anche l’età per essere vittime e carnefici.

In queste occasioni, mi presento sia come avvocato civilista del foro di Roma che come artista, proiettando i miei lavori, leggendo due mie poesie e donando, come ricordo dell’incontro, un braccialetto rosso realizzato con un filo di lana, uno dei tanti simboli che denunciano il crimine. Il mio gratuito intervento ha come titolo ‘Il Femminicidio visto attraverso gli occhi dell’arte’.

Quali sono le fonti d’ispirazione a cui attingi ed i grandi maestri che hanno formato il tuo bagaglio artistico e tecnico? 

Mi ritengo autodidatta, Sono una semplice esecutrice, quasi mai un’artista. 

I miei lavori sono definiti ‘installazioni’ e credo nell’arte del riciclo dei materiali di ogni genere. Uso materiali diversi (glitter, perle, pietre, filo di acciaio, plastica, tinta acrilica, colla, sassi, legno, conchiglie, chiodi, stoffa, carta e altro) e tecniche diverse.

I miei punti fermi sono stati i lavori di grandi artisti nazionali e internazionali che hanno fatto la storia dell’arte moderna e contemporanea di ieri e di oggi. Ne cito solo alcuni: Andy Warhol, Lushka Gedmond, Mario Schifano, Mimmo Rotella, Fernandez Arman, Lucio Fontana, Alberto Burri, Vladimirov Christò e Domenico Paladino.

Realizzo lavori di scultura, pittura, fotografia e ultimamente ho scritto poesie e racconti. 

Quali per tecniche prediligi le tue installazioni? 

Sicuramente la plastica, che lavoro con la tecnica della combustione o accartocciamento utilizzando un particolare phon che mi permette di creare solchi e drappi. La temperatura arriva fino a 1000 gradi e mi aiuto con strumenti per modellarla fino a quando è molto calda.

Spesso sono costretta a utilizzare le dita delle mani che purtroppo non posso coprire con guanti perché non riuscirei a sentire la materia. Questo mi impedisce di realizzare molti lavori in contemporanea. L’altro elemento che spesso utilizzo è la tinta acrilica e la carta dei quotidiani.

Una delle tue opere in particolare mi ha colpita. Il titolo dell’installazione è “L’Ultimo battito di Ali”.
Potresti raccontarci la storia dietro l’opera? 

Per me è sempre molto doloroso e commovente spiegare il significato di questo lavoro, mentre lo realizzavo perdeva la vita Federica de Luca a Taranto il 7 giugno del 2016 insieme al suo piccolo Andrea. 

Federica de Luca (una mamma di 29 anni) e il suo piccolo Andrea (di quasi 4 anni) vennero uccisi dal marito e padre suicida Luigi Alfarano (di 50 anni). 

Appresi la morte di queste due persone (non le conoscevo personalmente) tramite i telegiornali mentre lavoravo all’installazione. Nello stesso momento ricevevo una telefonata, rotta dal pianto e dalle urla. Dall’altra parte della cornetta, una mia cara amica di Roma, ma di origine tarantina, che aveva cresciuto Federica come una zia. Era una sua cara amica e del piccolo Andrea. Conosceva bene anche i genitori di Federica, che in poche ore perdevano l’unica figlia e l’unico nipote. 

L’intero paese di Taranto era sgomento per quanto accaduto. La prima puntata di ‘Amore criminale’ – presentato dalla conduttrice e attrice Veronica Pivetti –  fu dedicata alla storia della bella e giovane Federica De Luca con la terribile ricostruzione della sua storia. I suoi genitori Rita Lanzon ed Enzo De Luca oggi dedicano la loro vita al ricordo della figlia e del nipotino, presentandosi in trasmissioni televisive, come ‘Porta a Porta’ e ‘Domenica in’, affinché Federica non venga dimenticata e perché la loro storia possa essere d’aiuto a quelle donne che ancora oggi vivono una pericolosa difficoltà.

Pensando a Federica ho intitolato l’installazione ‘L’Ultimo battito di Ali’

Federica amava le farfalle che sono il simbolo della lotta contro la violenza sulle donne. Il significato del lavoro è l’effetto che causa l’acido su di un corpo con l’aggiunta di diverse pennellate di tinta acrilica rossa per ricordare il sangue. Federica è stata uccisa in maniera diversa, eppure questo lavoro lo sento realizzato per lei. 

Quando hai capito che saresti dovuta arrivare ai giovani attraverso la tua arte in qualità di relatrice nelle scuole medie e  superiori? 

So bene di essere un chicco di sabbia in pieno deserto, ma credo che i giovani siano la parte più delicata e preziosa della società. Sento di doverlo fare in quanto donna e in quanto in vita al solo fine di dare voce a chi voce non ha più.

Gli apprezzamenti che ho ricevuto in privato dai familiari di alcune vittime, e da alcune donne sopravvissute che mi ringraziano, mi invitano ad andare avanti su questa strada, rappresentando per me una grande gratifica. 

Mi hai raccontato che le vittime indirette di violenza domestica, come i figli all’interno del nucleo familiare, spesso trovano il coraggio di esporsi parlando in terza persona, come se le proprie esperienze appartenessero ad un’amica o un amico. 

Credi che, anche esporsi in terza persona, possa essere già un passo di liberazione dalla violenza subita?

Mi è capitato spesso che i giovani intervengano parlando in terza persona. Non escludo MAI che stiano parlando di loro, e non di una loro cara amica. 

Spesso capita che nel pubblico ci siano ragazze molestate dal proprio genitore. Di questa terribile realtà ne vengo a conoscenza dietro una segnalazione riservata. Di conseguenza, il mio intervento – che spesso dura anche due ore – deve necessariamente essere leggero, scorrevole, coinvolgente, a tratti anche divertente dato che mi rivolgo ad un pubblico di giovani che si presentano incuriositi dai temi non solo artistici, ma anche legali. La leggerezza si concretizza quando parlo del contributo della musica, dello sport, dei ‘flash mob’ da parte dei giovani, ma anche della fumettistica e della gioielleria nazionale e internazionale. Proietto video e slide.

Il parlare in terza persona è sempre un buon inizio. Non è detto che possano farlo per aiutare qualcuno ‘nascosto’ nel pubblico e comunque mi rendo sempre disponibile a parlarne in privato con l’interessata/o. 

Nonostante abbia venticinque anni di carriera come avvocato, non è mai semplice raccogliere questo genere di denuncia o di testimonianza, in particolare quando provengono da giovani. 

Credo che il dialogo sia fondamentale. Quando viene a mancare si presenta il pericolo. È necessaria la vicinanza. Mai devono sentirsi soli, dimenticati, non curati. 

Cosa è il Progetto Donna? 

Nel mese di ottobre del 2019 ho ricevuto l’onore di essere nominata presso la Suprema Corte di Cassazione di Roma come membro componente di una Commissione che porta il nome di ‘Progetto Donna’, dove diverse colleghe (civiliste e penaliste) svolgono un grandissimo lavoro a tutela delle donne. Il tutto coordinato da Avv. Angelica Addessi, Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma e Responsabile della Commissione Progetto Donna. 

Presumo che questa nomina mi sia stata attribuita per il lavoro di sensibilizzazione che da diversi anni sto svolgendo gratuitamente e spontaneamente nelle scuole, al solo fine di denunciare un crimine tanto efferato quanto terribilmente attuale e costante. Durante gli interventi sono spesso affiancata da relatori che sostengono la mia stessa missione in campi professionali diversi. Ho avuto l’onore di incontrare e conoscere psicologi, sociologi, criminologi, professori, magistrati, Autorità delle Forze dell’Ordine e sindaci, romanzieri, giornalisti che, come me, trovano nel dialogo un ponte per non soccombere al silenzio. 

In Italia una donna ogni tre giorni viene uccisa. Durante gli ottantasette giorni di lockdown da coronavirus - marzo / giugno - sono state uccise in Italia due donne ogni tre giorni, con un contestuale drammatico aumento anche delle violenze sessuali e dei maltrattamenti.

Referenze e Link youtube

Intervista rilasciata da Lazio TV negli studi di Terracina (Latina): trasmissione dal titolo ‘Meo Patacca’ del giorno 24 novembre 2020 – puntata 53 della durata di 30 minuti condotta da Germano Bersani
https://www.youtube.com/watch?v=mWZtWjceLzw

Intervista rilasciata on line dalla trasmissione dal titolo ‘Miraggiodilux – Fotografia ed emozioni’ del 07 novembre 2021  – incontro n. 307 – della durata di 1 ora condotta da Lucio Russo (dall’Austria). In diretta contemporanea a Roma con la radio ‘IoGiornalistaTV’.  https://www.youtube.com/watch?v=T4l-JZ2AQ74

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Cerchiamo Artistə e le loro Storie 
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L’Ex Mercato di Torre Spaccata – L’Officina della Cultura è lieta di presentare una rubrica interamente online, disponibile sul sito e sui canali social Instagram e Facebook

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Non ha confini geografici. Non conosce limite fisico. Ha un solo obiettivo: valorizzare l’estro creativo degli artisti e delle artiste che hanno scelto, o che sceglieranno, l’Officina della Cultura per mostrare le proprie opere. 

Dalle mostre permanenti a quelle temporanee, l’Associazione Culturale Calpurnia si è impegnata dal 2012 per intarsiare d’arte l’Ex Mercato di Torre Spaccata. È uno spazio di 1000 metri quadrati dal volto industriale e bohémien situato nel cuore di Roma Est. Nel corso degli anni abbiamo tessuto relazioni con artisti ed artiste. Abbiamo collezionato e custodito le loro opere d’arte. In segno di riconoscenza abbiamo in serbo un progetto totalmente in digitale.

SPACC’ARTISTA è una rubrica social che vuole raccontare
il punto di vista degli artisti e delle artiste. 

Abbiamo deciso di creare uno spazio digitale sul nostro sito interamente dedicato a chi si definisce artista ed è  interessato/a a collaborare con noi. 

Crediamo nella molteplicità delle forme e dei contenuti nell’arte. Conosciamo l’ampiezza delle tecniche che possono essere utilizzate per creare. Per questo motivo, abbiamo deciso di dedicare uno spazio interamente online a tutti coloro che si definiscono: Artisti

Apriamo le porte della rubrica SPACC’ARTISTA a tutti coloro che hanno un’opera da mostrare e una storia da raccontare attraverso di essa. 

Nessun limite, nessun confine. Abbiamo sempre bisogno di nuovi impulsi e nuove collaborazioni. Sentiamo sempre il bisogno di aprire le porte verso chi crede nella nostra stessa missione. 

Non importa in quale regione siete residenti, non importa la tecnica con cui esprimete il vostro essere creativi. A noi interessa solo che vogliate raccontare la vostra arte. 

Pittura, Scultura, Fotografia, Grafica, Street Art, Incisione, Ceramica, Musica, Performance… Crediamo nelle molteplici sfumature dell’Arte. 

NON IMPORTA COME, DOVE O QUANDO. 
CERCHIAMO ARTISTƏ E LE LORO STORIE.
 

AAA: SPACC'ARTISTA CERCASI

AAA: SPACC’ARTISTA CERCASI 

Per poter partecipare al progetto digitale, è NECESSARIO inoltrare la propria candidatura compilando il form disponibile sulla pagina dedicata, AAA: SPACC’ARTISTA CERCASI

La finestra di candidatura resterà sempre aperta. Non vi è alcuna data di scadenza per poter partecipare in quanto si tratta di un progetto in divenire. Si trasforma insieme alle persone che ne vogliono far parte. Per questo motivo lo definiamo un progetto che ha a cuore il punto di vista degli artisti e delle artiste. Guardare il mondo attraverso i loro occhi per mostrare cosa si vede da quella prospettiva. 

Una volta che avremo ricevuto la vostra candidatura potreste essere contattati via email e/o telefonicamente da parte dell’Associazione Culturale Calpurnia che gestisce lo spazio culturale dell’Ex Mercato di Torre Spaccata. Compilando il modulo di partecipazione, potremo sapere in che modo vorrete essere contattati, se telefonicamente o via email. 

Vi aspettiamo e non vediamo l’ora di potervi conoscere! 

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