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Massimo Sconci

Specchio specchio delle mie brame, il teatro serve per dialogare 

Con Massimo Sconci esploriamo in modo soggettivo il mestiere dell’attore. Vive a Roma, ma torna spesso a L’Aquila, dove è nato. Ama il teatro e crede che, come ogni altra forma d’arte, sia uno specchio della società.

Si impegna per portare davanti al pubblico un teatro di parola. Gian Maria Volonté è l’attore che definisce come maestro iconico e modello personale.

Come descriveresti il teatro? 

Ho sempre visto il teatro come un mezzo di comunicazione. Credo che possa essere inteso come luogo di scambio a livello empatico. Grazie ad esso si possono instaurare dialoghi lavorando a livello emotivo e narrativo.

Il teatro oggi è necessario per se stesso e per le proprie sperimentazioni contemporanee. Credo che il pubblico sia l’elemento imprescindibile per essere efficaci. 

Senza testimoni oculari il teatro viene meno, il palcoscenico si svuota di senso. Qui troviamo il suo essere allo stesso tempo espressione artistica e mezzo di comunicazione per raccontare la società in cui viviamo. 

Il periodo pandemico ci ha insegnato il valore delle persone in sala. Senza un pubblico e porte aperte il teatro stesso perisce. 

Come ti piace intendere il mestiere dell’attore? 

Questi ultimi anni di ripresa del settore culturale, ci hanno insegnato anche che la qualità vince sulla quantità. Come nella comunicazione, non importa quante parole si mettono insieme, è fondamentale trovare quelle giuste. Dunque, credo che essere attore sia un mestiere complesso, ma necessario per veicolare una forma di dialogo efficace. 

L’Aquila Nuova1 è il titolo della drammaturgia che hai scritto, diretto e portato in giro per l’Italia. Parla della tua città sotto le macerie, parla di distruzione e ricostruzione.
Perché hai deciso di affrontare un tema tanto sofferto? Quale è il messaggio che volevi comunicare?

Mi sentivo in diritto di farlo essendo Aquilano. Credevo fosse necessario portare sul palco un punto di vista soggettivo.

Ho scelto di prendermi la responsabilità di raccontare con tono satirico e ironico quello che per molti è rimasto un fatto di cronaca sui giornali. La prima intenzione era riflettere con i miei concittadini, volevo raccontare la memoria condivisa di un fallimento urbanistico, politico e sociale. Credo che dopo più di dieci anni dal terremoto del 2008 abbiamo ancora bisogno di una città nuova. 

“L’Aquila Nuova” ha bisogno di nuovi Aquilani, prima di tutto. La faticosa ricostruzione è stata fondamentale per riprendere in mano la quotidianità. Ma è necessario riconoscere che non sono gli edifici a fare le persone. 

L’Aquila ha bisogno di nuova linfa, di persone nuove. L’Aquila che vorrei vedere è abitata da cittadini che si sono scrollati il passato di dosso.

Il teatro di parola per raccontare il mondo. Con lo spettacolo dal titolo “I Buchi Bianchi2 hai utilizzato lo stesso tono satirico e scenografia scarna.
Hai deciso di raccontare una realtà che non ti appartiene:
La guerra in Siria. Perché?

Si, è vero il conflitto siriano non mi appartiene, ma non lo ho mai visto come una realtà troppo lontana da me. 

Mi interessa ed è per questo che ho voluto studiare ed approfondire le sue dinamiche di distruzione e ricostruzione. In qualche modo, queste due parole contrapposte legano sotto un medesimo denominatore due continenti. Oriente ed Occidente che trovano terreno comune in due drammaturgie che ho scritto e diretto.

Ritroviamo lo stesso tono ironico, ma con un’intenzione alla base diversa. Non sono siriano, dunque è una realtà che non ho vissuto in prima persona. Sentivo la necessità di portare il tema fuori dalla cronaca giornalistica. Sentivo il bisogno di metabolizzare le narrazioni in prima persona che avevo ascoltato attraverso il lavoro di divulgazione ed informazione delle associazioni culturali che frequento, tra cui l’associazione culturale Ararat3.

Anche per questa drammaturgia ho scelto di parlarne in modo soggettivo, ma non dal mio punto di vista. Assumo il ruolo di narratore, che attraverso la parola ripercorre la storia di Ahmir, un ragazzo tenace dal volto segnato che non si abbandona, tenta ogni giorno di ricostruire la sua vita da sotto le macerie della guerra. Ahmir continua a guardare il mondo con occhi nuovi, nonostante tutto. 

Trovo solo una differenza tra le macerie aquilane e quelle siriane: le prime sono causate da un evento naturale catastrofico; per le seconde invece, è l’uomo stesso a distruggere. 

Quale è il messaggio che vuoi trasmettere attraverso il tuo lavoro? 

Credo che il mestiere dell’attore sia una professione responsabile. L’attore deve essere consapevole dello spazio scenico come deve praticare la consapevolezza nel mondo che lo circonda. Non si può ridurre al concetto di maschera, dell’interpretazione di un ruolo, qualunque esso sia. 

Dunque, che messaggio voglio trasmettere? Consapevolezza e responsabilità. Ho scelto questo mestiere perché attraverso di esso mi sento concretamente immerso nella realtà presente ed attuale. 

Crediti fotografici articolo:
Ritratto fotografico per la copertina: 

Angelo Difazio

Referenze e link: 
 
L’Aquila Nuova, Dieci anni dopo“, Muspac, 29 marzo 2019 

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